Secondo disco di Cristina Nico, “L’eremita” (Orange Home Records, 2018).
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Canzoni per chi non si sente del tutto a posto nel mondo, per chi si sente sempre un po’strano e straniero, per chi, “eremita socievole”, oscilla tra il desiderio di partecipare, di esserci e quello di chiamarsi fuori da tutto ma alla fine cerca di costruire comunque il suo posto nel mondo. Le canzoni de “L’eremita” di Cristina Nico sono un viaggio alla ricerca di questa consapevolezza, che si apre con il disin-canto iniziale per arrivare alla presa di coscienza che tutti abbiamo bisogno degli altri, tutti siamo chiamati in causa perché la Storia prima o poi ci viene a cercare, perché le nostre esistenze di individui sono indissolubilmente legate a quelle degli altri, anche se ognuno deve fare un percorso che è suo e suo soltanto, per non essere inghiottito dalla confusione né farsi attirare dal Nulla, dal vuoto di senso e di responsabilità. Ma non ci sono ricette, risposte definitive: Nico gioca e riflette per tutto il disco su concetti opposti, in particolare su quelli di strano/normale e dentro/fuori e l’unica risposta che sembra plausibilmente venir fuori, è quella che le cose sono molto più mescolate, complesse, aggrovigliate di come appaiono e la maggior parte dei significati dati a queste polarità vanno continuamente rinegoziati.
Con “L’Eremita” Nico ritrova la via per quel ‘gotico mediterraneo’ che qualcuno aveva intravisto nei suoi esordi, aggiornandolo in un rock viscerale che si tinge di echi di blues, di psichedelia e di world music. Del resto nel background di Nico c’è un po’tutto questo ma anche altro, c’è un’insopprimibile attitudine punk-noise che, seppure ormai notevolmente educata e dosata, a tratti riemerge, c’è l’amore per la parola cantata in modo visionario, in una linea ideale che va da Lucio Dalla ai CSI, c’è l’ossessione per l’abisso e l’elevazione in cui artisti come Nick Cave, Pj Harvey e Patti Smith sono maestri. E poi c’è il fascino per le radici, una suggestione che qualcuno definirebbe ‘popular’ ma per lei è espressione di qualcosa di viscerale, legata alla memoria e forse a quello che si potrebbe junghianamente definire un “immaginario musicale collettivo”.
Il disco respira fra momenti di grande impatto ritmico e canzoni dalle atmosfere più eteree. Sempre presenti comunque le trame delle chitarre di Nico, che in questo lavoro si è presa la responsabilità di esplorare fino in fondo le sue potenzialità come musicista, grazie all’aiuto del produttore Raffaele Abbate e del batterista Federico “Bandiani” Lagomarsino, con cui una parte delle nuove canzoni erano già state testate dal vivo in set voce-chitarra-batteria e poi affinate in fase di pre-produzione. Fondamentali per giungere alla miscela originale di questo disco, oltre ai solidissimi quanto versatili tamburi di Bandiani, gli apporti di due musicisti dotati di grande tecnica ma anche personalità e sensibilità: Robi Zanisi ha un curriculum sterminato, suona corde e percussioni da tutto il mondo e qui ha suonato il cümbüş (una specie di banjo turco), il bouzouki, la lap steel guitar e la chitarra dodici corde; Osvaldo Loi, musicista davvero eclettico, anima de iSolaris, ha suonato e suona con alcune delle più interessanti realtà musicali italiane (attualmente accompagna dal vivo Angela Baraldi e suona i synth e la viola nella band di Sabrina Napoleone), nel disco di Cristina Nico ha curato gli arrangiamenti di archi e suonato la viola. Raffaele Abbate, oltre alla produzione, al mix e al master del disco, ha suonato i synth, il piano e le percussioni. Ha dato un apporto anche Sabrina Napoleone con i synth e i campionamenti nel brano “La donna di fuoco”.
Dal disco sono stati estratti due singoli con relativi videoclip: “L’eremita”, regia di Ruben Esposito, e “Stranonè”, regia di Gae Milazzo. I due artisti visivi e videomaker hanno saputo rendere in immagini l’anima più dark e quella più solare che convivono nel disco.